IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI

    Esaminati  gli atti relativi al procedimento sopra emarginato nei
confronti  di  Giacalone Ignazio, nato il 13 giugno 1937 a Mazara del
Vallo,  ivi  residente,  via  G. Hopps n. 31, difeso di fiducia dagli
avv.ti Antonino Mormino del Foro di Palermo e Paolo Paladino del Foro
di Marsala, imputato del delitto p. e p. dagli artt. 81 cpv. C.P., 30
e  31  legge  n. 646/1982,  perche'  essendo  stato sottoposto per la
durata  di  anni  quattro  -  con  decreto  del  tribunale di Trapani
n. 37/1995  R.M.P  in  data  3 giugno 1997, confermato nei successivi
gradi del relativo procedimento, divenuto definitivo il 16 marzo 1999
ed  a  lui regolarmente notificato - alla misura di prevenzione della
sorveglianza  speciale  di  P.S. ex legge n. 575/1965 e succ. modif.,
ometteva,  con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso
-  di  comunicare  al  Nucleo di polizia tributaria della G. di F. di
Trapani le seguenti alienazioni immobiliari:
        1)  la  cessione (da lui effettuata, unitamente a Rallo Vita,
Rallo  Vincenza,  Rallo  Grazia  e  Giacolone Antonino - quest'ultimo
mediante   procura   generale  precedentemente  conferita  al  figlio
Giacalone  Nicolo'  -  con atto rogato dalla dott.ssa Anna Giubilato,
notaio  in  Mazara del Vallo, in data 26 marzo 1998 per il dichiarato
prezzo  complessivo  di  lire  15.000.000,  di  cui spettanti ad esso
prevenuto  lire  5000.000)  in  favore  di  Tranchida Pasquale di 3/5
indivisi  di  una  vecchia  casa  sita in Mazara del Vallo, via Derna
nn. 8  e  10,  composta,  nell'intero, al piano terra da 5 vani ed al
primo  piano da 3 vani ed acessori, censita al N.C.E.U. di Mazara del
Vallo  alla  partita  2232, foglio di mappa 193/A, particelle 160/1 e
160/2;
        2)  la  donazione  (da  lui  effettuata con atto rogato dalla
dott.ssa  Anna  Giubilato,  notaio  in  Mazara  del  Vallo,  in  data
28 maggio 1998 per un valore dichiarato di lire 30.000.000) in favore
della  figlia  Giacalone  Rossella  di uno spezzone di terreno esteso
complessivamente  are  5  e  centiare  50,  sito in Mazara del Vallo,
contrada "Banna Sicomo", annotato nel N.C.T. di Mazara del Vallo alla
partita 75382, foglio di mappa 171 particella 2425;
        3)  la  cessione  (da  lui effettuata, unitamente a Giacalone
Antonino  -  quest'ultimo  mediante procura generale, precedentemente
conferita  al  figlio  Giacalone  Nicolo'  -,  con  atto rogato dalla
dott.ssa  Anna  Giubilato,  notaio  in  Mazara  del  Vallo,  in  data
19 giugno   1998   per  il  dichiarato  prezzo  complessivo  di  lire
62.500.000,  di  cui  spettanti ad esso prevenuto lire 31.250.000) in
favore  della  "IMPREMAR" S.r.l, con sede in Mazara del Vallo, di 2/3
indivisi   di   uno   spezzone  di  terreno  esteso  complessivamente
nell'intero,  are 7 e centiare 50, sito in Mazara del Vallo, contrada
"Banna  Tonnarella",  annotato  nel  N.C.T.  di Mazara del Vallo alla
partita 63334, foglio di mappa 188, particella 427;
    Comunicazioni  cui era tenuto, per le alienazioni di cui sub 2) e
3), per il periodo di 10 anni dalla data di applicazione della misura
di  prevenzione  ed  entro 30 giorni dalle rispettive stipulazioni di
tali  negozi  giuridici, trattandosi di variazioni nella composizione
del  patrimonio  di  elementi  ciascun di valore non inferiore a lire
20.000.000;  e,  per la cessione di cui al precedente punto 1), entro
il   31 gennaio   1999,   trattandosi   di   variazione  patrimoniale
intervenuta  nell'anno  precedente  e  concernente anch'essa (dovendo
essere   presa   in   considerazione  unitamente  a  tutte  le  altre
verificatesi nello stesso periodo) elemento di valore non inferiore a
lire 20.000.000.
    In Trapani, fino al 31 gennaio 1999.
    Con la recidiva infraquinquennale.

                               Deduce

    La  illegittimita' costituzionale dell'art. 30 legge 13 settembre
1982, n. 646, per violazione dell'art. 3 Cost., poiche' prevede:
        al  primo  comma,  che  "Le  persone  condannate con sentenza
definitiva  per  il reato di cui all'art. 416-bis del codice penale o
gia'  sottoposte,  con  provvedimento  definitivo,  ad  una misura di
prevenzione  ai  sensi  della legge 31 maggio 1965, n. 575, in quanto
indiziate  di  appartenere  alle associazioni previste dall'art. 1 di
tale  legge, sono tenute a comunicare per dieci anni, ed entro trenta
giorni dal fatto, al nucleo di polizia tributaria del luogo di dimora
abituale,  tutte le variazioni nella entita' e nella composizione del
patrimonio  concernenti  elementi  di  valore  non inferiore ai venti
milioni  di  lire.  Entro il 31 gennaio di ciascun anno sono altresi'
tenuti  a  comunicare le variazioni intervenute nell'anno precedente,
quando  concernono  elementi di valore non inferiore ai venti milioni
di lire";
        al secondo comma, che "Il termine di dieci anni decorre dalla
data  del  decreto  ovvero  dalla  data  della sentenza definitiva di
condanna.";
        al  terzo  comma,  che  "Gli obblghi previsti nel primo comma
cessano  quando  la  misura  di prevenzione e' revocata a seguito del
ricorso in appello o in cassazione.";
    In  tal  modo  rendendo  dovute,  in  relazione  al  primo comma,
l'interpretazione   secondo   la  quale  l'obbligo  di  comunicazione
riguarda  i  soggetti condannati con sentenza definitiva per il reato
di  cui  all'art. 416-bis  c.p.  e  quelli,  gia'  sottoposti, ma con
provvedimento  definitivo ad una misura di prevenzione ai sensi della
legge 31 maggio 1965, n. 575, e in relazione ai commi secondo e terzo
l'interpretazione secondo la quale l'obbligo di comunicazione incombe
sui  soggetti sottoposti alla misura della sorveglianza speciale gia'
dalla  data del decreto o nel momento immediatamente successivo della
sua  esecuzione, senza necessita' quindi di attendere che il medesimo
diventi definitivo.
    Cosi'  infatti  si legge nel secondo comma, mentre la previsione,
al  terzo comma, della cessazione degli obblighidi comunicazione "...
quando  la misura di prevenzione e' revocata a seguito del ricorso in
appello  o  in cassazione ..." fa logicamente desumere che i predetti
obblighi   vanno   osservati  sin  dal  momento  in  cui  il  decreto
applicativo  della  misura  di prevenzione e' messo in esecuzione nei
confronti del sottoposto.
    Nel  caso di specie, Giacalone Ignazio ha omesso di comunicare le
operazioni  di  alienazione  dei  beni  immobili al Nucleo di polizia
tributaria  di  Trapani  effettuate  in  data  26 marzo 1998, in data
28 maggio  1998 e in data 19 giugno 1998, prima ancora che il decreto
fosse  definitivo,  risultando  divenuto  definitivo  il  decreto del
tribunale di Trapani n. 37/1995 il 16 marzo 1999.
    Cio'   premesso,   va   innanzi   tutto   rilevata   l'intrinseca
contraddittorieta' della norma unitariamente considerata.
    Entrambe  le  due interpretazioni offerte derivano da una lettura
piana  e  coerente  per  cui  non  puo' ragionevolmente dubitarsi ne'
dell'una,   ne'   dell'altra,   e  pero',  nel  contempo,  esse  sono
inconciliabili  quando  l'una e' confrontata con l'altra, sancendo il
primo  comma  dell'art. 30  legge citata la nascita degli obblighi di
comunicazione  solo  allorquando  il decreto applicativo e' diventato
definitivo,  mentre  il  secondo  e il terzo comma dell'art. 30 legge
n. 646/1982,  al  contrario,  fissano la decorrenza degli obblighi di
comunicazione,  gia'  dalla  data  in  cui al soggetto interessato e'
notificata  la misura di prevenzione per la immediata esecuzione alle
prescrizioni ad essa derivanti, volendo escludere una interpretazione
estremamente  rigorosa  del  secondo  comma,  che fissa la decorrenza
degli obblighi, addirittura gia' dalla data del decreto.
    Questa egualmente possibile duplicita' di interpretazioni, tra di
esse   contrastanti,   nell'ambito   della   stessa  norma  determina
l'incertezza del diritto con conseguente impossibilita' di assicurare
ai soggetti destinatari, parita' di trattamento dinanzi alla legge.
    Tuttavia  l'art. 30,  comma  1,  legge  citata,  nella  sua prima
stesura  non  prevedeva  per  i  soggetti  sottoposti  alla misura di
prevenzione  della  sorveglianza speciale l'inciso "con provvedimento
definitivo".
    Infatti  il  comma  1  -  e  soltanto  questo, gli altri due sono
rimasti immutati - e' stato cosi' sostituito dall'art. 11 della legge
19 marzo 1990 n. 55, contenente disposizioni per la prevenzione della
delinquenza di tipo mafioso.
    Questa  modifica  puo' essere spiegata attribuendo al legislatore
la  volonta' di fissare la nascita degli obblighi di comunicazione al
momento  della  definitivita'  del  provvedimento,  sia che si tratti
della sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 416-bis c.p.,
sia  che  si  tratti  del  decreto  di  applicazione  della misura di
prevenzione   per  assicurare  parita'  di  trattamento  tra  le  due
categorie di soggetti.
    A  ben  vedere  l'originaria  previsione dell'irrevocabilita' del
provvedimento  per  la vigenza dell'obbligo di comunicazione soltanto
per   coloro   che  erano  stati  condannati  per  il  reato  di  cui
all'art. 416-bis  c.p. appare ingiustamente discriminante per l'altra
categoria  di  soggetti,  ove  si  consideri  che  per  questi ultimi
l'obbligo   e'   immediatamente   operativo  fin  dal  momento  della
sottoposizione  alle prescrizioni statuite con il decreto applicativo
della  misura  di  prevenzione,  sebbene i loro rapporti con contesti
criminosi organizzati di tipo mafioso, talvolta, possono essere stati
accertati  soltanto  a  livello  indiziario, senza che dunque abbiano
assunto  lo  spessore che invece assume una pronuncia di condanna per
il reato di cui all'art. 416-bis c.p.
    Sicche'   ai   soggetti   condannati   per   il   reato   di  cui
all'art. 416-bis  c.p.  e  peraltro  con pronuncia definitiva sarebbe
riservato  in  conclusione un trattamento meno gravoso, nonostante la
loro   responsabilita'  abbia  connotati  di  maggiore  offensivita',
secondo  il comune sentire della collettivita', con sicuri effetti di
sperequazione  a  tutto  svantaggio dei soggetti sottoposti alla sola
misura di prevenzione della sorveglianza speciale siccome trattati in
pejus,  nonostante  la  loro posizione assuma minor disvalore sociale
rispetto a quella dei soggetti condannati con sentenza definitiva per
il reato di cui all'art. 416-bis c.p.
    Puo'  capitare,  al  fine  di  far  risaltare i possibili effetti
abnormi   derivanti   dall'applicazione   del  comma  3  della  legge
n. 682/1946,  che  il  sottoposto a misura di prevenzione, ma non con
provvedimento  definitivo,  violi gli obblighi di comunicazione e che
successivamente il decreto che applica la misura di prevenzione venga
revocato a seguito del ricorso in appello o in cassazione.
    In  tal  caso  si  verificherebbe, supponendo l'immediata vigenza
degli oneri di informazione, la consumazione del reato con le gravose
sanzioni  penali  che  ne  derivano,  sebbene a seguito di revoca del
decreto che applica la misura di prevenzione, verrebbe meno lo stesso
presupposto   in  forza  del  quale  sono  imposti  gli  obblighi  di
comunicazione  e quindi uno degli elementi costitutivi da cui dipende
l'esistenza del reato.
    Dovrebbe  dunque  darsi  luogo all'applicazione di sanzioni assai
pesanti per un reato che successivamente avrebbe perduto uno dei suoi
elementi costitutivi.
    E'  indubbio,  quindi,  che  l'attuale  formulazione dell'art. 30
legge  n. 646/1982  genera  incertezza  del  diritto  e disparita' di
trattamento, qualora si ritenga che vi sia immediata decorrenza degli
obblighi  di  comunicazione  per  i  soggetti  sottoposti a misura di
prevenzione.
    La  questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata  dalla
difesa  di Giacalone Ignazio, appare pertanto preclusiva del giudizio
e non manifestamente infondata, poiche' l'inosservanza degli obblighi
di  comunicazione  contestati  al  Giacalone  sarebbe avvenuta quando
ancora il decreto di applicazione della misura di prevenzione non era
ancora diventato definitivo.

                               Deduce

    La  illegittimita' costituzionale dell'art. 31 legge 13 settembre
1982,  n. 646,  per violazione dell'art. 27 Cost., nella parte in cui
prevede  per colui che essendovi tenuto, omette di comunicare entro i
termini  stabiliti  dalla  legge  le variazioni patrimoniali indicate
nell'art. 30  legge  citata,  "....  la  reclusione da due a sei anni
...."  e  "...  la  multa da lire 20 milioni a lire 40 milioni ....."
oltre "la confisca dei beni a qualunque titolo acquistati nonche' del
corrispettivo dei beni a qualunque titolo alienati".
    Va  premesso che la previsione degli obblighi di comunicazione di
cui  all'art. 30  legge citata mira in astratto ad attuare una difesa
avanzata  contro  la  criminalita'  mafiosa,  poiche'  tali  oneri di
informazione  dovrebbero  garantire  il  controllo costante e attuale
sulla  consistenza  e  sulla  variazione  dei  patrimoni dei soggetti
mafiosi per almeno dieci anni.
    Tuttavia  tali  obblighi  sono  meramente formali dal momento che
dalla  loro inosservanza non derivano nella sostanza effetti dannosi,
potendo  risultare  compromesso  soltanto  lo stato di conoscenza dei
patrimoni dei mafiosi.
    In  realta'  non  e' cosi' poiche' i dati su cui grava l'onere di
informazione  sono  comunque  conoscibili  aliunde,  atteso  che  gli
acquisti  e  le  alienazioni  di  beni  immobili  avvengono  con atto
notarile e sono soggetti a forme di pubblicita' legale.
    Inoltre  si  e' verificato nel caso di specie, come in altri casi
in trattazione, che il sottoposto ha eccepito la non conoscenza della
norma.
    Appare  vero,  anzi  non  puo'  dubitarsi  del  contrario, che il
Giacalone  non  ha  avuto  conoscenza del precetto, trattandosi di un
soggetto  che  non  svolge professionalmente una attivita' legale, ed
egli  comunque  non avrebbe avuto motivo di non osservarla qualora ne
fosse stato realmente a conoscenza, dal momento che dall'applicazione
di  tale  norma  al Giacalone non sarebbe derivata alcuna conseguenza
pregiudizievole per il suo patrimonio.
    Anzi il Giacalone avrebbe avuto interesse ad ottemperare solo per
sottrarsi  alle  gravi  sanzioni  comminate  per  la  violazione  del
precetto penale.
    Inoltre  questo  giudice  rimettente  e'  portato a fare un'altra
riflessione.
    L'adempimento   degli   oneri   di  formazione  in  qualche  modo
contribuisce  a  dare  un  certo  effetto  di apparente liceita' alle
operazioni  che  determinano  una variazione dei patrimoni, nel senso
che  il  soggetto  obbligato,  se effettivamente portato a conoscenza
dell'esistenza di tali oneri di informazione, ha tutto l'interesse ad
eseguirli,  primariamente perche' non gli comporta alcun costo, e poi
per   far  credere  di  non  avere  nulla  da  nascondere,  tanto  da
comunicarlo.
    Muovendo  da  tale considerazione puo' realmente dubitarsi che la
norma  assicuri i risultati di conoscenza voluti con riferimento alle
variazioni  che  comportano  aumenti nella consistenza dei patrimoni,
essendo  scontato  che in concreto i soggetti condannati per il reato
di  cui  all'art. 416-bis  c.p.  e  i soggetti sottoposti a misura di
prevenzione    qualificata   procedano   a   tali   operazioni,   mai
direttamente,  ma  avvalendosi  di  terze  persone,  quando  mirano a
nascondere l'espansione del proprio patrimonio grazie all'utilizzo di
risorse di provenienza illecita.
    La   norma  di  cui  all'art. 30  legge  n. 646/1982  dunque  non
garantisce  affatto la conoscenza di quel che il legislatore mirava a
far  conoscere  e  fa  conoscere  in  definitiva quel che il soggetto
obbligato vuol rendere noto sulle variazioni del proprio patrimonio.
    La  norma  di  conseguenza non consente per nulla di acquisire le
informazioni sulle variazioni dei patrimoni che derivano dall'impiego
di  risorse  illecite  o  comunque  occulte, ma anzi puo' prestarsi a
essere  abilmente  impiegata  da  parte  dei soggetti destinatari del
precetto  per  far  conoscere soltanto quelle variazioni patrimoniali
prive di interesse.
    Trattandosi  dunque  di  una  norma che sanziona la violazione di
obblighi  meramente  formali,  che  non  assicura la conoscenza delle
variazioni  patrimoniali che possono essere oggetto di attenzione per
contrastare  la  criminalita'  mafiosa  e che di fatto si applica, in
caso di violazione, nei confronti di soggetti che in tutta buona fede
ne  ignoravano  l'esistenza,  la  pena  minima edittale e la confisca
appaiono assolutamente sproporzionate per eccesso.
    L'elevato  livello del minimo edittale, comportando l'irrogazione
di pene sproporzionate al grado di disvalore sociale dei fatti, nella
realta' privi di offensivita', contrasta con l'art. 27 comma 3 Cost.,
essendo compromessa la finalita' rieducativa della pena.
    L'intervento  della  Corte  costituzionale  di  eliminazione  del
minimo   edittale   non   avrebbe   interferenza   con  la  sfera  di
discrezionalita'  legislativa,  rinvenendosi nello stesso sistema, in
virtu'  della  generale  previsione dell'art. 23 comma 1 c.p. (limite
generale  di  quindici  giorni  di  reclusione), l'individuazione del
trattamento  sanzionatorio  minimo.  Inoltre  la  Corte,  se non puo'
esprimere il giudizio sulla congruenza della pena rispetto al fatto -
reato,  essendo  tale  giudizio  di  spettanza  del legislatore, puo'
verificare  che  l'uso  della discrezionalita' legislativa in materia
rispetti  il  limite  della  ragionevolezza  (cfr. in tal senso Corte
costituzionale sentenza n. 409 del 1989).
    Infatti,  piu' in generale, "il principio di proporzionalita' ...
nel  campo  del  diritto  penale  equivale a negare legittimita' alle
incriminazioni  che,  anche  se  presumibilmente idonee a raggiungere
finalita'  statuali  di  prevenzione,  producono, attraverso la pena,
danni  all'individuo  (ai suoi diritti fondamentali) ed alla societa'
sproporzionatamente maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da
quest'ultima  con  la  tutela dei beni e valori offesi dalle predette
incriminazioni" (cfr. Corte costituzionale sentenza n. 409 del 1989).
    Osserva  inoltre  che  la Corte ha maturato la convinzione che la
finalita'  rieducativa  della  pena  non  sia limitata alla sola fase
dell'esecuzione,  ma  costituisca  "una  delle  qualita' essenziali e
generali  che  caratterizzano  la pena nel suo contenuto ontologico e
l'accompagnano  da  quando nasce, nell'astratta previsione normativa,
fino a quando in concreto si estingue ....".
    Tale finalita' rieducativa implica pertanto un costante principio
di  proporzione  "tra  qualita'  e  quantita'  della sanzione, da una
parte,  e  offesa,  dall'altra  (sentenza  n. 313  del 1990; sentenza
n. 343 del 1993, confermata dalla sentenza n. 422 del 1993).
    La  questione  di legittimita' costituzionale sollevata d'ufficio
appare pertanto preclusiva del giudizio in corso e non manifestamente
infondata.

                               Deduce

    La  illegittimita' costituzionale dell'art. 31 legge 13 settembre
1982,  n. 646,  per  violazione  degli artt. 3, 27, 35,41 e 42 Cost.,
nella  parte in cui prevede per colui che essendovi tenuto, omette di
comunicare  entro  i  termini  stabiliti  dalla  legge  le variazioni
patrimoniali  indicate  nell'art. 30  legge  citata, "la confisca dei
beni a qualunque titolo acquistati nonche' del corrispettivo dei beni
a qualunque titolo alienati".
    Si  ravvisa un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale
della  norma,  laddove  impone  in caso di condanna, l'adozione della
misura  della  confisca  dei beni a qualunque titolo acquistati o del
corrispettivo dei beni a qualunque titolo alienati.
    Infatti,  nel  vigente  sistema  la  confisca  e'  una  misura di
sicurezza  patrimoniale  fondata  sulla pericolosita' derivante dalla
disponibilita'  di  alcune  cose  che  servirono o furono destinate a
commettere  il  reato  ovvero delle cose che ne sono il prodotto o il
profitto;  tale  istituto, pertanto, secondo l'unanime giurisprudenza
di legittimita' non puo' avere carattere punitivo ma, in quanto tende
a   prevenire   la  commissione  di  ulteriori  reati,  ha  carattere
cautelare.
    Nel  caso  in  esame,  invece, la confisca si risolve in una mera
sanzione  accessoria,  avente precipuo carattere punitivo in aggiunta
alla   pena   detentiva,   in   quanto   misura   del  tutto  slegata
dall'accertamento della pericolosita' della cosa.
    E' facile notare come il bene venduto o il corrispettivo del bene
alienato  si  pongano  in un rapporto di mera "occasionalita'" con il
delitto.
    Nella confisca facoltativa (di tale istituto si tratta, in quanto
essa e' prevista obbligatoriamente solo in caso di condanna), occorre
un  rapporto di asservimento tra la cosa ed il reato nel senso che la
prima  deve  essere  ricollegata  al  secondo  da  uno  stretto nesso
strumentale  che  riveli  effettivamente  la  possibilita' futura del
ripetersi  di  un'attivita'  punibile,  in  modo dunque, che la prima
risulti  necessaria per il secondo. Cio' perche' il presupposto della
confisca  va  ravvisato  nella  pericolosita'  della cosa che postula
l'ulteriore requisito dell'uso necessario della stessa per commettere
il reato.
    Nel  caso  in  questione,  la  variazione  patrimoniale  e'  solo
l'occasione per la nascita del precetto penale della comunicazione ma
e' in se' un elemento neutro.
    Diversamente  il  legislatore  ha  disposto quando ha previsto la
misura della confisca nell'art. 12-sexies decreto-legge 8 giugno 1992
n. 306 convertito nella legge 7 agosto 1992 n. 356.
    Tale  norma  prevede,  infatti,  che  nel  caso  di condanna o di
applicazione  della  pena  ai  sensi  dell'art. 444 c.p.p. per alcuni
delitti, tra cui quello di associazione mafiosa ex art. 416-bis c.p.,
"e'  sempre  disposta  la confisca del denaro, dei beni o delle altre
utilita'  di cui il condannato non puo' giustificare la provenienza e
di  cui,  anche  per  interposta  persona fisica o giuridica, risulta
essere  titolare  o  avere  la  disponibilita'  a qualsiasi titolo in
valore  sproporzionato  al  proprio reddito, dichiarato ai fini delle
imposte sul reddito, o alla propria attivita' economica".
    Allo  stesso  modo, nel corso del procedimento di prevenzione, il
prevenuto  ha  la  possibilita'  di  evitare  la  confisca,  ai sensi
dell'art. 2-ter   (introdotto   dalla   stessa  legge  n. 646/1982  )
dimostrando la legittima provenienza dei beni sequestrati.
    Si  viene  a  creare,  pertanto, una disparita' di trattamento di
situazioni  analoghe: il condannato ex art. 416-bis, al momento della
condanna,  puo'  sottrarsi  alla misura della confisca dimostrando la
legittima  provenienza  o  la  proporzione con il reddito percepito o
l'attivita' economica svolta. Lo stesso puo' fare il soggetto nei cui
confronti  e'  proposta  misura  di prevenzione patrimoniale ai sensi
della   lgge  n. 575/65  (art. 2-ter,  commi  2  e  3).  Il  soggetto
sottoposto a misura di prevenzione antimafia divenuta definitiva o il
soggetto  condannato  con  sentenza definitiva per art. 416-bis c.p.,
invece,  una volta condannati per la violazione di un mero obbligo di
comunicazione delle variazioni patrimoniali, si vedrebbero confiscati
i beni o le utilita' non denunziate, senza possibilita' di dimostrare
la legittima provenienza.
    Occorre,   infatti,   osservare   come   essendo   l'obbligo   di
comunicazione  previsto  con  riguardo  a  "tutte le variazioni nella
entita'  e  nella composizione del patrimonio concernenti elementi di
valore  non  inferiore  ai  venti  milioni"  ed  essendo  la confisca
prevista  per  gli  acquisti  e  le alienazioni "a qualunque titolo",
debbono   intendersi   confiscabili   anche   i  beni  pervenuti  per
successione ereditaria o per donazione.
    Allo  stesso  modo  dovrebbero essere sottoposti a confisca anche
quei  beni  per  l'acquisto dei quali l'imputato abbia ipoteticamente
acceso  un  mutuo  con  un istituto di credito, pagando le rate con i
proventi del proprio lavoro.
    Anche  sotto tale aspetto, la misura de quo appare sproporzionata
rispetto  alla  pur certamente condivisibile finalita' legislativa di
apprestare  un  sistema  di  controllo  decennale  del patrimonio per
seguire  lo  sviluppo  dell'attivita'  economica svolta dal mafioso o
dall'indiziato  mafioso. Tale sproporzione e', d'altronde, il portato
di  quella  gia'  rilevata  mancanza  di collegamento tra la confisca
prevista  dall'art. 31 e pericolosita' del bene, a meno di non volere
ritenere  di  per se' pericoloso ogni bene o utilita' solo perche' in
possesso  di  un  soggetto mafioso o indiziato tale, ma allora non si
comprenderebbe   perche'   non   sia   stata   disposta  la  confisca
incondizionata anche nell'ipotesi di cui all'art. 12-sexies.
    Il  disposto  normativo  in  questione appare, dunque, violare il
principio  di  eguaglianza  di  cui  all'art. 3 Cost., principio che,
secondo  la stessa giurisprudenza di codesta Corte, e' espressione di
un generale canone di coerenza dell'ordinamento normativo.
    La  legge in esame, a parere di questo remittente, appare affetta
da irragionevolezza, sotto il profilo della "incoerenza", ossia della
totale  inesistenza  di  correlazioni tra fine primario della legge e
differenziazioni  normative,  sotto  il profilo della "impertinenza",
quale  mancanza  di  correlazione  logica  del meccanismo legislativo
rispetto  agli  obiettivi  da  perseguire,  ma anche sotto il profilo
della  "inadeguatezza"  in  quanto  lo  strumento  legislativo  della
confisca  pecca  palesemente per eccesso o, comunque, per mancanza di
proporzione,  rispetto  all'obiettivo  avuto di mira, in modo tale da
generare disparita'.
    Infine,   ritiene  questo  remittente  che  la  previsione  della
confisca  da  parte  dell'art. 31  in  esame  contrasta anche con gli
artt. 35,  41,  e  42  Cost.,  che  tutelano  il lavoro e l'attivita'
economica privata e garantiscono la proprieta' provata, laddove viene
prevista  l'ablazione del bene o dell'utilita' anche qualora siano il
frutto del lavoro e del risparmio e dunque quando il modo di acquisto
della  proprieta' sia connesso ad attivita' consentite e protette dal
diritto.
    Nel  caso  di  specie,  la  confisca  del  corrispettivo dei beni
alienati,  ove in concreto praticabile, apparirebbe ancor piu' iniqua
ove  si  consideri  che i predetti beni, in esito al procedimento per
l'applicazione   della   misura  di  prevenzione  nei  confronti  del
Giacalone,  sono  stati  dissequestrati proprio sul presupposto della
loro legittima provenienza.
    La  questione di legittimita' costituzionale sollevata d'ufficio,
con  riguardo  alla confisca, appare pertanto preclusiva del giudizio
in corso e non manifestamente infondata.
    Ravvisasi, quindi, tre questioni di illegittimita' costituzionale
che   e'   necessario   risolvere   con   l'intervento   della  Corte
costituzionale.